La “passione integrata”

Mi sono avvicinata alla “consulenza” alla vigilia della discussione della mia tesi di laurea, mentre cercavo di capire cosa volessi fare “da grande”: per caso ho assistito alla presentazione di una Senior- di una società multinazionale (una delle big four) – sulle attività di audit e sono rimasta affascinata dalla #passione che emergeva dalle parole con cui raccontava la sua storia. Ci sono delle parole che mi sono rimaste impresse e che mi hanno convinta definitivamente ad iscrivermi in quella “palestra” di vita e di lavoro chiamata consulenza; queste parole, ancora oggi, sono rappresentative di NOI e sono parte del nostro dna: viaggiare per scoprire nuovi luoghi e persone, imparare velocemente spaziando in più campi, seminare oggi per accrescere le relazioni domani, lavorare in squadra per confrontarsi, crescere mettendosi continuamente in discussione.

Si perché se non si “va oltre” e non si osa superare i propri limiti si rischia di rimanere in trappola della propria zona di comfort che ognuno di noi si è nel frattempo costruita e se lo si fa insieme è sicuramente più facile.

 

NOI abbiamo cercato di unire la genuina passione per il nostro lavoro affinando anno dopo anno i nostri metodi e strumenti , per farlo dedichiamo, ognuno in base alle proprie conoscenze e esperienze, una significativa parte del nostro tempo allo studio, anche per il tramite delle certificazioni internazionali dell’AIIA  nonché allo sviluppo di nuovi servizi in base ai desiderata dei nostri clienti, i quali ci hanno sempre riconosciuto e tuttora ci riconoscono una pervasiva dedizione, o per dirla nel nostro gergo tecnico “passione integrata”.

NOI siamo fatti così

Alessandra Barlini

Lavoro e famiglia: un binomio finalmente possibile

Sono entrata a far parte della squadra di #operàri quando il mio secondo figlio aveva appena sei mesi e, di certo, non avrei potuto riprendere così presto la mia attività se #operàri non avesse avuto una visione così innovativa del lavoro.

“#operàri, infatti, ha realmente abbattuto la vecchia concezione del posto fisico di lavoro abolendo qualsiasi vincolo di orario e spazio”.

In #operàri si lavora anche da casa e l’attività viene organizzata per fasi, cicli e obiettivi, mediante un accordo con i componenti dei vari team. Inutile dire che tale modalità mi ha aiutata a conciliare i tempi della famiglia con i tempi del lavoro rendendo sicuramente più agevole quest’ultimo! Insomma #operàri si è fatta promotrice di un cambiamento culturale importante soprattutto per il mondo femminile e non posso che essere fiera di farne parte.

Valentina Baldo

 

Dall’Università direttamente nel mondo lavoro: l’azienda e non una piccola

#operàri mi ha sin da subito permesso di entrare nel vivo delle attività di cui si compone la propria realtà aziendale. Ad una settimana dal mio arrivo ho avuto l’opportunità di lavorare presso la sede di un cliente multinazionale, per un periodo di circa tre mesi.

“Timore ed entusiasmo sono i sentimenti che hanno contraddistinto l’inizio di questa mia esperienza; sarei entrata a far parte di un team del tutto a me sconosciuto, presso un cliente di cui percepivo l’importanza”.

Da lì a breve tempo ho imparato quanto sia essenziale sentirsi parte di una squadra, condividerne risultati, esperienze, nozioni e perché no, stati d’animo. Sono fiera e grata del bagaglio di conoscenze accumulato fino ad oggi, di cui questo primo banco di prova, non ha che rappresentato un inizio promettente.

Ilaria Bambara

Lavorare per mesi senza aver mai incontrato i colleghi

È possibile iniziare una nuova esperienza lavorativa, interagire e lavorare con il nuovo team di lavoro senza aver mai incontrato/conosciuto i nuovi colleghi? Ebbene sì, vi racconto la mia esperienza!

Sono entrato a far parte della squadra di #operàri all’inizio del mese di marzo 2019, mentre in Italia e nel resto del Mondo iniziava a dilagare la pandemia del COVID-19 e le relative conseguenti misure di lockdown.

“Dietro lo schermo del mio PC, non mi sono mai sentito solo”

ed ho potuto conoscere approfonditamente tutti i nuovi colleghi, il loro modo di essere ed i relativi hobby anche grazie ad iniziative tanto uniche quanto apprezzate (come dimenticare gli incontri “virtuali” di gruppo del venerdì con il supporto di psicologa per meglio affrontare la quarantena?!).

Ho potuto sin da subito apprezzare lo spirito di squadra e l’ambiente di lavoro, ed ho capito che lo slogan tanto in voga in quei giorni faceva proprio al caso nostro…#distantimauniti.

Luigi Errico

Lo smartworking, quello vero

Lo smart working o lavoro agile è, secondo la normativa vigente, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Partiamo dall’inizio, così poco compreso: non è lavoro agile la prestazione lavorativa che abbia sostanziali vincoli di luogo di lavoro, perché se sei libero di fare lavoro agile un giorno alla settimana chiedendo autorizzazione una settimana prima, la libertà è poca e i vincoli sono tanti.

Per quanto si voglia essere flessibili, ci sono attività che richiedono la presenza in un certo luogo e in un certo tempo: poniamo per esempio che si faccia formazione in aula per i clienti: senza dubbio è possibile preparare il materiale del corso ovunque; già possiamo avere qualche problema sul tempo di esecuzione, perché se è vero che possiamo anche ipotizzare un lavoro asincrono nel tardo pomeriggio dopo essere tornati dal mare, è altrettanto evidente che sarà necessario condividere ciò che abbiamo fatto dapprima con i colleghi – che hanno pure loro la propria vita, i propri impegni, il proprio lavoro agile – e poi con i clienti – che hanno la propria vita, i propri impegni e, inoltre, pagano a fine mese, il che non è poco.

È quindi necessario innanzi tutto stabilire, già nell’accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore, che ci sono alcune peculiarità o alcune attività specifiche nell’esecuzione dell’attività lavorativa che non si prestano ad alcuna forma di libertà di orario o di luogo; insomma che ci sono fasi o cicli o attività che semplicemente non sono e non possono essere in alcun modo lavoro agile.

Per il resto ci si può e si deve organizzare; la tecnologia non è proprio facoltativa, come la norma vorrebbe far credere: è essenziale. Significa che gli strumenti applicativi necessari devono essere tutti disponibili e funzionanti, così come l’accesso alle informazioni, così come la necessaria connettività dati. Si può essere un’isola per qualche ora, forse qualche giorno; poi senza connessione con i dati e con gli altri, non è più lavoro che nobilita, bensì è solo sofferenza.

Nell’organizzarsi, bisogna considerare che il lavoro agile richiede la costruzione di ponti e non invece appunto la solitudine di un’isola. Non si lavora mai da soli, se non per brevi periodi. Si lavora sempre con gli altri nel raggiungimento degli obiettivi; soltanto nel confronto con gli altri si impara, si sbaglia, si corregge, si è più efficienti. Pensare quindi che non vi siano davvero vincoli di orario è altrettanto sbagliato. Tutto questo senza considerare i clienti, che pure hanno diritto di parlare con noi e magari non sanno neppure cosa sia il lavoro agile nella propria azienda.

       

“Lavoro agile è la capacità, che si impara nel tempo se l’azienda lo permette, di comprendere dove e quando sia meglio svolgere ciascuna attività; ci sono cose che si possono fare meglio con la concentrazione e con la tranquillità di una terrazza sul mare; ci sono altre cose che per cortesia professionale e per rispetto per gli altri vanno fatte insieme agli altri, magari in collegamento video; ce ne sono altre che beneficiano enormemente del confronto di persona, perché la comunicazione non verbale è tanto importante quanto la comunicazione verbale, come succede quando vogliamo trasferire conoscenze e imparare dagli errori. Se così non fosse, avrebbero già chiuso le scuole e saremmo tutti davanti ad uno schermo”.

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Noi lavoriamo agile dal 2018, eppure non smettiamo mai di imparare come lavorare meglio e agili; ci proviamo, impariamo; proponiamo idee; adottiamo soluzioni, anche tecnologiche; snelliamo i processi, soprattutto comunichiamo tra noi. Il nostro smart working sta tutto nella nostra testa e non su un pezzo di carta.