Due o tre cose che ho da dire sul South Working

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Quest’anno il tema dello smartworking è stato al centro dell’attenzione di molti media. In particolare nella declinazione del “lavorare al sud”. Noi di operàri facciamo una netta distinzione tra lavoro agile e smart working così come comunemente inteso. Il nostro modo di agire ha così attirato l’attenzione di alcune testate e le nostre colleghe Maria Calabria e Ilaria Bambara sono state intervistate dalla rivista South Working – Lavorare dal Sud e da Il fatto quotidiano, ne emerge un quadro di riflessione sul quale Vittorio Gennaro ha scritto l’articolo che condividiamo. Un punto di vista forte e chiaro come siamo in operàri. Buona lettura

Due o tre cose che ho da dire sul South Working

Il mio personale punto di vista sull’iniziativa South Working è ben noto: apprezzo ciò che Elena Militello sta portando avanti insieme agli altri e sono pronto a fornire il mio contributo di esperienza imprenditoriale.

In operàri facciamo Smart Working dal 2018 e lo facciamo sul serio; il lockdown non ci ha trovato, insomma, impreparati e ai primi giorni di giugno – non appena è stata annunciata la possibilità di spostarsi tra le Regioni – ho immediatamente suggerito personalmente a tutti di prenotare un volo in tutta fretta, prima che finissero i posti disponibili, per tornare a casa e lavorare agile dalla terrazza e guardando il mare, che tanto non sarebbe cambiato nulla in termini di efficienza ed efficacia nel lavoro di team e con i nostri clienti.

In qualità di imprenditore e datore di lavoro, ho pensato di fornire un contributo economico a copertura dei costi non ricorrenti, fosse il costo del biglietto aereo oppure il maggior costo della connessione dati. Mi è sembrata la cosa giusta da fare, senza tanto clamore mediatico.

Devo riconoscere, tuttavia, che ciò che abbiamo attivato non è vero South Working, bensì ne è la versione estiva, quella facile da realizzare; del resto il nostro è il paese nel quale il 3 giugno si inizia già a dire: ne parliamo a settembre.

Vorrei quindi esprimere il mio punto di vista sul tema, anche in considerazione del fatto che noi abbiamo fatto davvero impresa dal Sud, e per ben dieci anni, partendo da Cagliari e raggiungendo da lì tutti i nostri clienti in giro per l’Italia.

Innanzi tutto, quando si fa impresa il cliente ha sempre ragione; noi facciamo i consulenti e in questo periodo di lockdown sono stati i nostri stessi clienti a chiederci di lavorare da remoto: insomma, i nostri clienti – in senso assoluto dapprima e in accordo con il Protocollo COVID poi – non ci volevano e ancora non ci vogliono presso i propri uffici. La stessa normativa e i principi di una sana gestione del rischio suggeriscono di limitare gli spostamenti non necessari e le riunioni in presenza, come abbiamo fatto sin da fine febbraio. Facile fare South Working quando nessuno ti chiede di essere altrove, insomma.

Quando avevamo base a Cagliari, i nostri consulenti viaggiavano per il 65-70% del proprio tempo e vi assicuro che ciò può sembrare entusiasmante nei primi anni di lavoro; poi stanca e non poco. Mettiamo pure che la tecnologia abbia fatto passi da gigante e che quindi oggi si possano fare da remoto cose che quindici anni fa non si potevano neppure immaginare: non credo che in ogni caso si possa scendere sotto il 40% in termini di trasferta, diciamo poco meno di due settimane al mese. E viaggiare e stare in trasferta costa.

Questi costi di trasferimento e di trasferta erano per lo più a carico nostro, perché non ce l’aveva ordinato il dottore di avere una base su un’isola. Se tuttavia fare South Working fosse una scelta del singolo, nella discrezionalità che l’accordo di lavoro agile consente, a carico di chi dovrebbero essere questi costi, secondo voi?

In secondo luogo, da imprenditore e da consulente ho imparato una cosa: sono le diversità e il confronto ad arricchire le persone e ad assicurare un rapido sviluppo professionale. L’azienda è un forma di aggregazione sociale e non parlo soltanto dei colleghi, ma parlo anche e soprattutto di quell’eco-sistema fatto di colleghi più giovani che hanno bisogno di vicinanza e supporto – perché si impara un lavoro anche stando vicini, per osmosi si potrebbe dire; arricchito di colleghi più anziani ed esperti, che hanno il dovere etico di trasferire agli altri ciò che sanno e ciò che hanno imparato – e tutto ciò non si può fare soltanto per il tramite di un video-call su Teams; completato dai clienti – soprattutto dai clienti – vuoi perché facciamo i consulenti e il respiro organizzativo dei clienti si apprezza soltanto di persona, in loco, vuoi perché in particolare siamo auditor e la parola audit viene etimologicamente dal latino e significa ascoltare.

Noi non siamo isole e noi dobbiamo costruire ponti e il lavoro agile rischia – se se è svolto sistematicamente in remoto – di impoverirci professionalmente. E la quiete del borgo non è sufficiente a compensare questo impoverimento.

Per questo il nostro accordo di lavoro agile dice innanzi tutto che non si possa parlare di lavoro agile se siamo dai clienti: è una precisazione voluta e non casuale, perché vuole preservare – nel rispetto delle libertà di auto-determinazione del luogo e del tempo del lavoro – la possibilità di costruire ponti e non invece muri.

La mia personale interpretazione del lavoro agile, di cui il South Working vuole essere una mera specifica geografica, è quindi innanzi tutto una modalità di arricchimento professionale, perché sollecita e indirizza le persone a sviluppare forme di auto determinazione dei tempi e dei luoghi di lavoro, focalizzando l’attenzione su quelli che sono gli obiettivi.

Il lavoro agile è la forma moderna di interpretazione e di attuazione del contratto di lavoro: attuare le direttive del datore di lavoro, con ampio ricorso all’auto determinazione delle modalità esecutive.

Inoltre il lavoro agile agevola il bilanciamento della vita professionale con la vita privata. Rispetta la persona e le proprie necessità: gestire gli impegni personali durante la giornata, fare attività fisica o ricreativa senza che sia notte, partire prima per un fine settimana al mare o in campagna, andare a trovare più spesso i propri cari che stanno lontano, spesso al Sud. In questo senso, sia benvenuto il South Working.

Il lavoro agile, specie nella modalità del South Working, non deve essere invece inteso come un modo per risparmiare sul contratto di locazione, perchè a casa non si spende nulla e mamma cucina meglio. Per favore, questo non si può sentire, perchè in Svezia escono di casa a poco più di 18 anni e noi invece a 30, come conferma Eurostat.

Vittorio Gennaro

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