Uno dei privilegi nel ruolo di imprenditore è quello di scegliere, assumere e motivare le persone; per contro uno dei compiti più ingrati è quello di licenziare, specie guardando negli occhi la persona.
Poi ci sono le dimissioni, che fanno storia a sé, specie quando sei in una società di consulenza.
Tutto inizia, normalmente, con un semplice
Ti posso parlare?
Ora, non succede mai che qualcuno ti voglia parlare di questa cosa nel momento giusto; o forse non esiste un momento davvero giusto per farsi dire che si sta andando via. Perché – ammettiamolo – le dimissioni sono vissute psicologicamente come un fallimento imprenditoriale, specie nelle piccole imprese, ancora di più in consulenza.
Quando qualcuno va via, io mi faccio in effetti molte domande.
Ma questo avviene dopo, generalmente il giorno successivo. Nel momento che conta lascio parlare e spiegare, tanto so già dove vuole andare a parare.
L’anatomia delle dimissioni passa attraverso questi momenti, che si ripetono più o meno nello stesso modo ogni volta.
Il dimissionario parte da Adamo ed Eva
Mai nessuno che vada diritto al sodo. Che dica in tre minuti – non so – sto presentando le dimissioni perché ho avuto un’offerta alla quale non posso rinunciare. No. Partono da lontano; devono disegnare il contesto [che spesso tira in ballo la propria storia, le proprie ambizioni, e le mille incertezze della vita]; presentare lo struggimento interiore [voi mi avete insegnato tanto, devo dirlo è la frase più comune]; argomentare il dilemma etico [restare o andare?]. Poi generalmente non chiude il cerchio e sai già cosa succederà dopo.
Il dimissionario parla un sacco bene di te e della tua azienda
Segue la fase – già anticipata nello struggimento di cui sopra – che preferisco di più. Perché è vero che so che poi mi dirà che se ne sta per andare, ma mi piace da morire sentire tutte le buone ragioni per cui lavorare con noi è stato bellissimo. Sono tutte motivazioni che vanno prese con le pinze, scontate del trenta o quaranta per cento, ma comunque c’é del vero in tutto questo: il dimissionario non sta mentendo. Generalmente non si arriva al io non vi merito, cosa che invece mi succedeva quando venivo lasciato in adolescenza; si passa tuttavia sempre da lavorare per voi è una fantastica esperienza e una grande opportunità, che consiglierei a tutti, salvo lasciare la domanda aperta [credo si veda sopra di me la nuvoletta come nei fumetti] sul perché mai, allora, se ne sta andando via.
Il dimissionario dice che però c’è un ma
Segue un momento di silenzio, un respiro profondo da parte sua. Un silenzio interrotto dalla spiegazione che anticipa la comunicazione ufficiale. Come in un imbuto che stringe obbligatoriamente verso un punto, il ma è stato preparato con cura, recitato mille volte allo specchio. La fenomenologia delle dimissioni che ho vissuto in quasi vent’anni mi permetterebbe di raccontarne di belle, e non lo faccio per pudore e per rispetto dei tanti che ho incontrato e poi le nostre strade si sono divise. Dal voglio di più, al semplice ho bisogno di stimoli e di cambiare, poco cambia. Questa è la fase che preferisco, perché apprezzo l’originalità delle argomentazioni. Adoro, soprattutto, ciò che succede ad ogni mia osservazione e commento al ma che è stato presentato: segue un ma anche. Poiché tuttavia il primo ma è stato preparato a tavolino e pure il secondo, ma il terzo e il quarto sono spesso improvvisati, io ammetto di divertirmi molto ad argomentare con grande lucidità e logica, perché gli aneddoti migliori e da ricordare vengono spontanei.
Il dimissionario dice che non è per i soldi
Questo mai. Davvero mai che succeda. Evidentemente pare un poco villano parlare di soldi. Spesso, tra l’altro, stiamo parlando di una differenza lorda su base annua che da sola non giustificherebbe un cambiamento; altrettanto spesso ad attirare sono le promesse di sviluppo futuro e le conseguenti gratificazioni economiche a venire, che per me – che lavoro in consulenza da quasi trent’anni – vanno sempre divise per due o anche per tre. Sta di fatto che, fondamentalmente, non è mai per i soldi e sempre per il ma di cui alla fase precedente. Io credo che se qualcuno vi dice: non è per soldi, ma per una questione di principio, è invece per i soldi. Forse sono diventato cinico.
Il dimissionario non ti dice mai dove sta andando
Tra i più grandi segreti della storia, forse secondo ai segreti di Fatima, c’è la destinazione. Insomma tu sei lì, ti hanno appena detto che sono stati bene con te, ma c’è un’altra, e mi pare normale che ci sia il desiderio di sapere che faccia abbia questa altra se non altro per fare pace con sé stessi e pensare che in ultima istanza non c’era storia. Niente. Che poi generalmente lo sanno già tutti ma non tu, che sei il datore di lavoro che l’ha assunto. Ci sono grandi analogie con il tradimento, anche se questo segreto è spesso condito con argomentazioni epiche, che includono – ho le evidenze – voglio prendere una pausa di riflessione e devo stare vicino a mio padre [o madre o nonno, abbiamo avuto anche un nonno di recente] a cui è stato diagnosticato un brutto male. Salvo trovarteli qualche mese dopo dal tuo concorrente. Perché – per ragioni che non ho mai compreso – il dimissionario non cambia mai il profilo Linkedin fino al termine del periodo di prova, chissà mai perché.
Il dimissionario, oramai oltre l’ostacolo, gioca la briscola
Questa è la fase che amo di meno, perché gira attorno agli aspetti pratici della separazione, molto simili a quelli che si sperimentano quando ci si lascia e l’altra parte non vede l’ora di andare via. Dove non vede l’ora va preso nel senso letterale del termine, perché in consulenza il preavviso contrattuale è questo sconosciuto. Ho avuto esperienze di chi – dopo una interiore sofferenza che è durata mesi [vedi Adamo ed Eva più sopra] – ti dice che vuole andare via a fine settimana; c’è chi racconta che il nuovo datore di lavoro insiste categoricamente che si inizi dieci giorni dopo, che poi ciò dovrebbe far pensare, ma si sa l’erba del vicino è sempre più verde; c’è chi legittimamente ti dà quasi due mesi di preavviso e siamo al venticinque di luglio, inclusivi però di tre settimane di ferie in agosto e del congedo matrimoniale, che – chissà perché – è a carico di chi è stato lasciato e non di chi invece è stato preferito a te. Per non parlare della necessaria assistenza nella compilazione delle dimissioni on line, mia croce e delizia, per le quali vi svelo un segreto che nessuno vi dirà mai: si indica il primo giorno successivo all’ultimo giorno di lavoro, anche se festivo. Comunque ho casi di dimissioni e revoche e dimissioni e revoche e dimissioni e revoche e infine dimissioni che al Ministero del Lavoro penseranno che sotto sotto siamo ancora innamorati.
La verità è che non gli piaci abbastanza
Perché questa è la verità, ancora prima di tutte le domande che poi ti devi fare a partire da domani e che ogni volta mi faccio e ogni volta imparo qualcosa. Le persone vanno via perché non piaci abbastanza. Chiarisco: non piaci abbastanza in quel momento della loro vita, per mille ragioni che a volte non sono riconducibili a qualche cosa che hai fatto di sbagliato; probabilmente in un altro momento e con novecento e novanta diverse ragioni saremmo ancora insieme. Magari prendono decisioni delle quali poi si pentono, ma ciò conta poco. Vanno via e si portano via un pezzo di carne e di cuore.
Certamente ho imparato nel tempo che la pazienza che le nonne avevano nel matrimonio non è più la pazienza che i Millennials hanno nei rapporti. Ho imparato che si appassionano e perdono passione con rapidità e veemenza. Bisogna saper ascoltare il battito del cuore degli altri e non guardare soltanto il proprio ombelico.
Ci ho messo quindici anni e ho dovuto superare la soglia dei cinquanta, per avere più chiaro quale fosse la strada e l’indirizzo da seguire.
Ho capito che i valori genuini che pervadono l’organizzazione sono ben più importanti dei soldi che puoi mettere in gioco; che la cura delle persone non può essere sottoposta ad alcun compromesso e ad alcun gioco al ribasso.
Anche per questo siamo diventati una Società Benefit e abbiamo messo al centro dei nostri obiettivi strategici la cura delle persone, che rappresentano il nostro vero patrimonio, e la coerenza tra i nostri comportamenti e i nostri valori, perché operàri sequitur esse, si diceva: l’agire è conseguenza dell’essere.