La sentenza Monte dei Paschi di Siena conferma sempre più il rilievo dell’effettività del Modello 231

RESPONSABILITÀ 231

MONTE DEI PASCHI DI SIENA: CONDANNATA PER FALSO IN BILANCIO E MANIPOLAZIONE DEL MERCATO. 

Il 7 aprile scorso sono state depositate le oltre 300 pagine di motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano (Sezione II Penale, n. 10748), nella vicenda “Banca Monte dei Paschi di Siena derivati” (operazioni Alexandria e Santorini).

Tralasciando le fattispecie di reato (false comunicazioni sociali di cui all’art. 2622 c.c. e manipolazione del mercato di cui all’art. 185 TUF) contestate agli imputati (persone fisiche), all’ente venivano contestati due reati ex D.lgs. 231/2001 (gli artt. 25-ter e 25-sexies).

La sentenza è senza ombra di dubbio un ulteriore tassello della giurisprudenza, sempre più fitta, che conferma il rilievo dell’effettività del Modello di organizzazione gestione e controllo 231 e del ruolo attivo, talvolta preso sotto gamba, dell’Organismo di Vigilanza.

Per quanto riguarda il Modello 231, il Collegio ha accertato come alcuni degli illeciti contestati fossero stati commessi prima ancora che intervenisse una robusta revisione del Modello stesso.

L’aggiornamento del Modello 231 aveva previsto: l’implementazione della cd. Parte Generale (con integrazione dei flussi informativi verso l’OdV e la revisione del sistema disciplinare); l’introduzione di una parte speciale del modello, comprendente la previsione di specifiche procedure di controllo (i cd protocolli 231), finalizzate alla prevenzione dei reati presupposto; l’aggiornamento del Codice Etico. Il Tribunale ha affermato che fino al momento della revisione del Modello 231 “la Banca è risultata sprovvista di accorgimenti organizzativi concretamente idonei a prevenire il rischio criminoso“; ed inoltre, i regolamenti interni non erano idonei a sanare quel vulnus derivante dalla mancata adozione di specifici protocolli 231, in particolare “in merito alla mappatura delle aree di rischio, alla predisposizione di specifici protocolli diretti alla prevenzione dei reati, agli indispensabili flussi informativi verso l’OdV nonché al sistema disciplinare“.

Per quanto concerne, il tema dell’OdV, il Tribunale ha osservato come “l’Organismo di Vigilanza – pur munito di penetranti poteri di iniziativa e controllo, ivi inclusa la facoltà di chiedere e acquisire informazioni da ogni livello e settore operativo della Banca, avvalendosi delle competenti funzioni dell’istituto …ha sostanzialmente omesso i dovuti accertamenti (funzionali alla prevenzione dei reati, reiterati in maniera indisturbata), nonostante la rilevanza del tema contabile”, già colto nelle precedenti ispezioni di Banca d’Italia. Inoltre, dalla sentenza si legge che “l’organismo di vigilanza ha assistito inerte agli accadimenti, limitandosi a insignificanti prese d’atto… che un più accorto esercizio delle funzioni di controllo avrebbe certamente scongiurato”… Così, purtroppo, non è stato e non resta che rilevare l’omessa (o almeno insufficiente) vigilanza da parte dell’organismo, che fonda la colpa di organizzazione di cui all’art. 6, d.lgs. n. 231/01“.

Ancora, i giudici pur riconoscendo la responsabilità dell’Ente, hanno rappresentato che il Modello 231 è stato “violato nella generalizzata e diffusa indifferenza“, ritenendo, quindi, applicabile esclusivamente la sanzione amministrativa pecuniaria di € 800.000,00 non essendovi “i presupposti di fatto della confisca, non ravvisandosi alcun vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dai reati presupposto“.

In conclusione, a 20 dalla pubblicazione del D.Lgs 231 e dagli innumerevoli modelli di organizzazione e gestione e controllo valutati e/o implementati in questi anni,  ancora oggi gli aspetti che intendo evidenziare ai nostri clienti, ai fini dell’esonero di responsabilità dell’Ente, sono:

–       l’importanza di una adeguata e sostanziale mappatura dei rischi, sulla base dei processi dell’organizzazione;

–       la definizione ed applicazione di protocolli- procedure di prevenzione dei reati, affinché il Modello 231 possa avere adeguata efficacia;

–       la concreta indipendenza dell’Organismo di vigilanza 231 per esercitare il suo ruolo, con sostanziali autonomi poteri di controllo, nonché un’attività realmente operativa e contestualizzata all’interno dell’organizzazione.

Infine, mi vengono in mente le sagge e sempre valide parole del mio collega Vittorio, che cerco di parafrasare: il Modello 231 non va imposto con terrorismo psicologico, parlando delle sanzioni pecuniarie e amministrative. Il D.Lgs 231 può essere un grimaldello per il miglioramento delle società/ enti. Proprio per questi motivi, invitiamo sempre a riflettere sull’opportunità di avviare un percorso di maturità organizzativa, in termini di governo societario.

Francesco Attisano

La promozione di un ambiente di lavoro sano come fattore di successo per un’azienda

Spesso ci si chiede quale sia il segreto per avere successo come azienda e ci si sofferma, a mio avviso, erroneamente su aspetti prettamente tecnici delle proprie risorse trascurando completamente il fattore umano.

Ma andiamo con ordine.

Cosa significa avere successo per un’azienda? Se l’azienda ha chiaro l’obiettivo avere successo significa riuscire a raggiungerlo nel migliore dei modi e nei tempi stabiliti. Ma anche se l’obiettivo può sembrare chiaro spesso non lo sono affatto le dinamiche che ne determinano il conseguimento.

Ma qual è allora il problema?

Ormai quando si parla di benessere in azienda tutti pensano ad avanzamenti di carriera, programmi di formazione, telelavoro o benefit particolari..io invece credo che tutto ciò costituisca solo una piccolo contributo al raggiungimento del successo.

Ciò che si sottovaluta infatti, a mio parere, è l’importanza dell’ambiente di lavoro e quindi il collocare la risorsa giusta – requisito imprescindibile – nel posto giusto.

Musi lunghi, vendette trasversali, blocchi ostili non fanno altro che alimentare una guerra fredda con uno scenario tutt’altro che efficiente per la società che si troverà a dover gestire frequenti “ritirate,” “battaglie” e stress post traumatici.

Tutto questo per dire che se la maggior parte di noi trascorre circa un terzo del loro tempo al lavoro, va da sé che la nostra vita professionale deve farci sentire al sicuro.

Quello che ho osservato nel corso degli anni è che è fondamentale favorire il benessere e la soddisfazione dei lavoratori che devono riuscire a fare squadra per raggiungere obiettivi che fanno crescere tutti.

Fare squadra è ciò che ho visto e imparato in operàri.

Fare in modo che i dipendenti siano “felici” è un punto di partenza, più che un obiettivo, finalizzato a potenziare il successo dell’azienda.

In ogni azienda che desideri ottenere migliori risultati e una maggior efficienza produttiva è fondamentale la presenza di una persona – di un leader – che sappia gestire in modo adeguato le risorse umane, che sappia gestire i conflitti che si creano nel team.

La cattiva organizzazione rischia di moltiplicare le possibilità di scontro, con effetti nefasti sulla produttività aziendale e sul clima che si respira ogni giorno sul luogo di lavoro.

In un team in cui il tasso di litigiosità è molto alto è fondamentale il ruolo di un leader che sappia conciliare visioni e caratteri diversi, che sappia prendere una posizione e riportare la pace, ma quella vera, che sappia valorizzare le persone e mostrare apprezzamento per i traguardi da loro raggiunti.

In un ambiente di lavoro “sano” i lavoratori devono essere sostenuti e incoraggiati a fare cambiamenti positivi nello stile di vita a beneficio di tutti.

In tale contesto, la chiave è rappresentata dalla corretta socializzazione tra i lavoratori; tutto deve essere studiato in modo tale che l’aspettativa di una risorsa di comunicare con un collega lo predisponga positivamente verso la relazione, figurandosela come piacevole e gratificante, così da porre le basi affinché ciò accada effettivamente.

Ecco perché è importante lavorare sui dipendenti in modo da allenarli a un confronto produttivo e al lavoro di squadra anziché al conflitto e al tentativo di imporsi fra pari.

Ed ecco perché per creare un ambiente di lavoro positivo è fondamentale la presenza di una leadership dotata del giusto grado di empatia per creare il perfetto equilibrio nel lavoro di squadra, che sappia guidare un team di persone e influenzarle positivamente, capire le capacità di ciascuna persona per raggiungere migliori risultati.

Il ruolo dei leader diventa, quindi, centrale nel costruire un buon clima di lavoro perché dalle loro capacità di comunicazione e dalle loro decisioni dipende in larga misura la soddisfazione delle risorse umane e il loro coinvolgimento nel successo dell’organizzazione.

Gestione dell’organizzazione che ho visto in operàri come decisiva al fine di ottenere un ambiente di lavoro sano fatto di persone disposte a mettersi in gioco e a supporsi a vicenda nonché legate dallo scopo di raggiungere obiettivi precisi: questo è il successo di un’azienda.

Valentina Baldo

A comment on diversity and inclusion in corporate culture and how it is fostered within European Union

On the 12th of November, the European Commission presented the first LBGTIQ equality strategy of EU.

This was a necessary step: in fact, as shown by the European Commission report, 43% of LGBTIQ people declared they felt discriminated against. Moreover, this figure increased, especially after COVID-19 crisis. Therefore, in order to fight these forms of discrimination, the European Commission has presented this strategy, which is based on four main objectives that should be achieved by 2025:

1. Tackling discrimination against LGBTIQ people;

2. Ensuring LGBTIQ people’s safety;

3. Building LGBTIQ inclusive societies;

4. Leading the call for LGBTIQ equality around the world.

As clear from these pillars, the strategy pursued by the European Commission is very broad and covers several areas, such as the access to public positions and the inclusion of minorities in the workplace. With regards to the former, in recent years, the EU has already made progress towards equal opportunity for LGBTIQ people and thanks to its raising-awareness, their access to public positions has been facilitated. For example, last October, Petra De Sutter was the first transgender woman to become minister in Europe, after the Belgian government appointed her as Deputy Prime Minister. In 2019, she already won one sit in the European Parliament and she was elected president of the Committee on Internal Market and Consumer Protection.

With regards to the Italian situation, in November 2020, the Italian Chamber of Deputies approved a law against homotransphobia that has to be passed by the Senate; however, this is just the first step of a long series and we still have a long road ahead to build a fully inclusive society.

As mentioned, another fundamental issue that the European Commission has been addressing is the promotion of inclusion and diversity in the workplace, which is a crucial issue for our company. In particular, the Commission promotes diversity management through the so-called EU Platform of Diversity Charters. The Platform is currently composed of 26 national diversity charters representing a network of around 12,000 organizations with over 16 million employees. Diversity Charters are instruments through which the EU promote the adoption of its strategies in order to promote an inclusive corporate culture, with respect to all minorities existing in the society. Signing such Charters implies the adoption of diversity and inclusion policies, the establishment of internal LGBTIQ networks, the provision of training for their staff, the celebration of the IDAHOT [Homophobia, Transphobia, Biphobia and Interphobia] and the participation in national Pride events. Moreover, LGBTIQ employees benefit from the improved coordination between the EU Platform, national diversity charters and individual businesses. Along with the above mentioned measures that aim at promoting the inclusion of LGBTIQ people, the Commission continues to support measures under the Gender Equality Strategy, which was introduced in March 2020. This strategy is meant to improve the socio-economic position of women, including those that are relevant for LBTIQ women; its implementation is again fostered through the EU Platform of Diversity Charters.

In Italy, the Italian Diversity Charter was introduced in 2009 and by now it has been signed by 500 companies and about 300 non-profit organizations and public administrations.

Signatory companies are committed to fight all kinds of discrimination in the workplace, such as those based on gender, age, disability, ethnicity, religion, sexual orientation; at the same time, they strive to value diversity within the corporate organization. The Charter provides a list of possible concrete actions and a policy framework that guide companies in the implementation of the EU strategies. It is worth noting that signing the diversity charter is not only an act of equity and social cohesion, but it also contributes to the company’s success.

In view of the above, I am proud to be part of operàri, as it is an inclusive workplace, which considers diversity a strength and make all possible efforts to fight all forms of discrimination. In particular, operàri, one of the signatories of the Italian Diversity Charter, adopts the diversity management concept through the inclusion and promotion of workers that reflect the various diversities in the society. Moreover, we believe in the importance of diversities and in their employment as a potential benefit for the company. Our objective, of course, is not only to hire people from minorities, but also to integrate all workers so that everyone can feel part of the company’s identity.

On a more personal level, I would like to share my experience in operàri: whereas being a young professional mother in our society can often be a source of discrimination, in our company it is considered a plus. In fact, from when I joined operàri, I felt valued and, moreover, I was given the opportunity to manage the demands of family and career.

Silvia Rossi

Tre osservazioni che ho da fare sui tirocini pagati poco o niente

Il Parlamento Europeo, con la Risoluzione del Parlamento europeo dell’8 ottobre 2020 sulla garanzia per i giovani, ha condannato la pratica degli stage, dei tirocini e degli apprendistati non retribuiti.

Lo ha fatto votando a maggioranza (574 sì, 77 no, 43 astenuti) una Risoluzione in cui invita gli Stati membri a proporre possibili soluzioni per l’introduzione di uno strumento giuridico comune a tutti con l’obiettivo di garantire una remunerazione equa per stagisti, tirocinanti e apprendisti nel mercato del lavoro dell’Unione, garantendo anche un ambiente di lavoro adeguato, un trattamento equo e paritario, con periodi di prova di ragionevole durata e senza contratti atipici.

In particolare, il Parlamento Europeo:

13. crede fermamente nell’obiettivo di migliorare le condizioni socioeconomiche dei giovani attuando in modo corretto la garanzia per i giovani rafforzata; ribadisce la propria posizione secondo cui la retribuzione dovrebbe essere commisurata al lavoro svolto, alle competenze e all’esperienza della persona in questione e dovrebbe permettere la sussistenza ai tirocinanti, agli stagisti e agli apprendisti che operano nel mercato del lavoro al di fuori dei programmi di studio; invita la Commissione e gli Stati membri a proporre, in collaborazione con il Parlamento e nel rispetto del principio di sussidiarietà, possibili soluzioni per l’introduzione di uno strumento giuridico comune che garantisca e faccia applicare una remunerazione equa per gli stagisti, i tirocinanti e gli apprendisti nel mercato del lavoro dell’UE; condanna la pratica degli stage, dei tirocini e degli apprendistati non retribuiti, che costituisce una forma di sfruttamento del lavoro dei giovani e una violazione dei loro diritti;

Ci sono tre osservazioni che voglio fare sulla pratica di retribuire il lavoro dei tirocinanti poco o niente:

  • era anche ora che il Parlamento Europeo se ne accorgesse;
  • qualcuno dovrebbe spiegare alla Regione Lombardia che l’esortazione del Parlamento Europeo a che i tirocinanti abbiano una retribuzione commisurata innanzi tutto al lavoro svolto, nonché l’esplicita condanna per la pratica dei tirocini non retribuiti si applica – senza scuse – anche ai periodi di praticantato nelle professioni regolamentate. Non me ne voglia il Presidente della Regione, che è un rappresentante di una di queste professioni regolamentate, ma non ci si può lavare le mani dicendo che non sono attivabili tirocini extra-curriculari in favore di professionisti abilitati o qualificati all’esercizio di professioni regolamentate per attività tipiche ovvero riservate alla professione, come invece si afferma negli Indirizzi regionali in materia di tirocini.

Non si può perché questo è un modo elegante per affermare che nelle professioni regolamentate non si applicano neppure i minimi dell’indennità di partecipazione previsti dagli Indirizzi

  • se è vero che il limite minimo dell’indennità di partecipazione è pari, secondo gli indirizzi regionali, a 500 euro mensili [che si possono ridurre a 400 euro mensili se qualora si preveda la corresponsione di buoni pasto o l’erogazione del servizio mensa e addirittura a 300 euro mensili se il soggetto ospitante è una Pubblica Amministrazione], è anche vero che l’indennità dovrebbe permettere la sussistenza ai tirocinanti. Se non è chiaro abbastanza cosa si intenda per “permettere la sussistenza”, posso spiegarlo io: ai tirocinanti extra-curriculari deve essere riconosciuta una indennità almeno pari a 800 euro mensili a cui aggiungere obbligatoriamente i buoni pasto che non sono tassati – e no, non quelli cartacei da 4 euro al giorno, che a Milano con 4 euro non prendi neppure un panino; insomma, anche in questo periodo così difficile una dignitosa indennità mensile deve avvicinarsi il più possibile a 1.000 euro al mese, tutto incluso. Se poi siete una grande azienda, potete fare anche di meglio.

Il motivo è spiegato bene dall’ISTAT: basta selezionare i menu a tendina – per i giovani laureati che vivono da soli a Milano [perché voi volete che diventino ben presto indipendenti, vero?] – per avere una risposta.

 

Se invece pensate che 600 euro al mese siano più che sufficienti, avete le braccine corte.

E per favore, non oltre i sei mesi, che è sufficiente tempo per valutare se ci si piace abbastanza.

Tre buone ragioni per la nostra sostenibilità

L’altro giorno abbiamo ricevuto ufficiale conferma della nostra adesione al UN Global Compact, in qualità di Partecipanti (trovate tutte le informazioni sul sito direttamente sul sito del UN Global Compact). Siamo emozionati, perché ciò rappresenta l’inizio di un percorso che ufficialmente riempie di significato importante il nostro modo di fare impresa e di fare consulenza.
Siamo ancora più emozionati perché, in qualità di Partecipanti al UN Global Compact, intraprendiamo il nostro percorso affiancando gli altri cinquanta enti o società circa che avevano precedentemente aderito in qualità di Partecipanti nel nostro paese.

Il UN Global Compact è l’iniziativa strategica di cittadinanza d’impresa più ampia al mondo.
In senso ampio, il UN Global Compact è un’iniziativa volontaria di adesione a un insieme di principi che promuovono i valori della sostenibilità nel lungo periodo attraverso azioni politiche, pratiche aziendali, comportamenti sociali e civili che siano responsabili e tengano conto anche delle future generazioni; un impegno, siglato con le Nazioni Unite dai CEO delle aziende partecipanti, a contribuire a una nuova fase della globalizzazione caratterizzata da sostenibilità, cooperazione internazionale e partnership in una prospettiva multi-stakeholder.

Ci sono tre ragioni per le quali abbiamo intrapreso questo percorso.
In primo luogo, vogliamo essere orgogliosi del nostro lavoro.
Da sempre facciamo consulenza orientata ad analizzare, valutare e migliorare le buone pratiche di governo societario, attraverso adeguati processi di gestione dei rischi e di controllo interno. Non solo. Siamo riconosciuti come validi interlocutori nello sviluppo e nella valutazione dei sistemi anti-corruzione e, più in generale, dei sistemi organizzativi a presidio della legalità nelle attività imprenditoriali.
Sappiamo bene che talvolta ciò che viene letto per prima in una nostra proposta sta in basso a destra. E non è testo, bensì è un numero espresso in euro. Noi andiamo avanti a schiena dritta e testa alta, perché il buon governo delle imprese contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo di sostenibilità 16 promosso da UN nell’Agenda 2030.

In secondo luogo, come imprenditori abbiamo l’obbligo morale di lasciare un’impronta che sopravviva a noi stessi.
E se questa impronta in passato è stata semplicemente associata, dal punto di vista simbolico, alla notorietà del marchio e, dal punto di vista giuridico, al mero passaggio generazionale, ecco che ciò oggi non basta più e non è anzi ciò che vogliamo. Come imprenditori, noi vogliamo creare e gestire imprese che sappiano guidare il cambiamento nelle modalità organizzative, per esempio nella cura e nell’attenzione verso le persone che ci lavorano, e che siano di ispirazione per i nostri clienti.

Certo, è una goccia nel mare. Ma l’oceano, in effetti, è fatto di acqua.

In ultimo, gli obiettivi devono essere noti, pubblici e verificabili.
Aderire al UN Global Compact ci espone imprenditorialmente allo scrutinio di tutti. Questo semplice gesto porta con sé conseguenze importanti. Ci educa nella identificazione e valutazione periodica degli
obiettivi di sostenibilità che vogliamo raggiungere; ci guida nelle azioni che dobbiamo mettere in atto; ci obbliga a misurare ciò che facciamo di periodo in periodo.
Impegnativo, ma entusiasmante.

E ci fa intraprendere questo percorso insieme a tante altri enti e società, in Italia e nel mondo, perché la collaborazione e l’interdipendenza sono essenziali.

Nessuno, infatti, è un’isola e noi – lo ripetiamo sempre – vogliamo costruire ponti.

Vittorio Gennaro

Esperienze: come ci vedono le nostre “new entry”

In operàri teniamo molto ai feedback del team. Sui feedback costruiamo questa società giorno dopo giorno. Così abbiamo chiesto alle “new entry” della nostra squadra di scrivere un contributo su come si sentono, come percepiscono il loro personale “stare in operàri“. Ecco i due contributi di Luca Vaccaro e Anastasie Musumary.

Finalmente ci (ri)vediamo!
La mia esperienza in operàri inizia nel mese di giugno, nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria. Apparentemente non le migliori condizioni per approcciarsi ad un nuovo percorso. Con il passare del tempo però ho avuto modo di osservare che la coesione e la volontà di fare gruppo superavano le distanze e le limitazioni imposte da ciò che stava accadendo nel mondo.
L’inizio dell’esperienza è stata contraddistinta dallo smartworking, modalità che non avevo mai sperimentato, facendomi una idea di quelli che per me fossero i pro ed i contro. Sono stato messo nelle condizioni di poter apprendere nel migliori dei modi e mi ha indirizzato verso una iniziale crescita professionale oltre che umana.

Grazie ad #operàri ho imparato che il capitale umano è uno dei più preziosi.

Ieri dopo tanti mesi ci siamo incontrati tutti quanti “in presenza”: è stata tanta la felicità di poter condividere finalmente momenti di unione e scambiare uno sguardo o un sorriso con i colleghi, sono entusiasta di essere parte attiva di questo team.

Luca Vaccaro

 

La mia esperienza in operàri

La mia esperienza in operàri è iniziata nel periodo del Lockdown, dove i contatti umani erano limitati, l’unico modo per interagire con i colleghi e i referenti era attraverso lo schermo del computer. Inizialmente è stato difficile imparare un nuovo lavoro senza osservare dal vivo e assorbire l’esperienza di chi fa questo mestiere da tanto tempo.

Nonostante ciò in operàri non vieni mai lasciato solo, mi sono sentita parte della squadra fin da subito e non solo una semplice stagista.

Il lavoro è dinamico ogni giorno si impara qualcosa di nuovo, vengono valorizzate le caratteristiche personali e culturali di ciascuno e vengono colmate le lacune per non lasciare indietro nessuno. Ho imparato che bisogna stare al passo, migliorarsi ed essere sempre sul pezzo e mai dare per scontato nulla, sia dal punto di vista lavorativo sia nell’approccio con i colleghi.
operàri è una scuola di vita, ti insegna a stare al mondo e a vivere nel mondo.

Anastasie Musumary

A Schiena Dritta e Testa Alta

Il nostro lavoro gira spesso attorno al controllo, alle verifiche e alla conformità: sarebbe semplice affermare che l’integrità sia inerentemente parte di noi.

Si racconta, però, che il figlio del ciabattino vada in giro con le scarpe rotte e se è bravo a nascondere i difetti – basta non mettersi troppo in vista e sotto la luce del sole – potrebbe pure passare inosservato.

Noi non vendiamo integrità.

Siamo integri.

Noi siamo fatti così e ci comportiamo di conseguenza. Viene da chiedersi – specie quando il ciclo economico è zeppo di nuvole scure che sanno di temporale – se l’integrità come valore abbia davvero un valore. Non vuole essere un gioco di parole, anzi è un discorso serio.

Credere che l’integrità in consulenza sia un valore e che, quindi, crei valore è come programmare e mettere in atto la necessaria periodica manutenzione ordinaria per preservare il valore di un immobile.

Si potrebbe pure dare una semplice imbiancata alle pareti, areare e pulire per bene le stanze, scegliere una bella giornata di sole e provare a vendere comunque l’immobile. Magari nessuno si accorge dell’impianto che non è a norma e degli infissi che sono proprio da cambiare. Si chiamano vizi occulti. A volte, nessuno se ne accorge e si può perfino fare un affare.

Per chi vende, si intende.

Anche in consulenza ci sono occasioni per fare un affare, se non altro perché ciò che diciamo, in ultima istanza, si diffonde e disperde nell’aria e ciò che scriviamo non viene spesso letto con la necessaria attenzione.

Ed è in questo momento che entra in gioco l’integrità. È integro il consulente che esprime la propria opinione perché sia ascoltata e possa generare un cambiamento. Sta a schiena dritta e testa alta. Investe e crede nel rapporto di fiducia. Rispetta il cliente e vuole essere ricordato.

Per restare nella metafora, l’integrità è la qualità del cemento che si usa nelle fondamenta; è l’attenzione che si mette nella predisposizione degli impianti, che poi sono nascosti alla nostra vista; è la cura nelle rifiniture, specie quelle che negli angoli bui; è la perseveranza disciplinata negli interventi di manutenzione ordinaria, che è facile invece trascurare, perché tanto non se ne accorge nessuno.

La consulenza è fatta di tanti venditori di fumo, lo sappiamo. È anche fatta, fortunatamente, di contadini pazienti e premurosi e di artigiani attenti e appassionati.

L’integrità, dunque, è il migliore investimento. Ed è pure il più grande valore, quello che ti fa addormentare sereno la sera e ti consente di guardarti allo specchio, ogni mattina, con un sorriso anche se scopri una ruga in più.

“Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena dritta e testa alta e segui sempre e soltanto la voce della tua coscienza” [Antonino Caponnetto]

La trasformazione digitale dei processi di audit

La crescente complessità aziendale, insieme all’aumento dei requisiti normativi e al continuo mutamento del contesto esterno che si riverbera – con rischi sempre nuovi – sull’operatività aziendale, vede sempre più incrementare anche il volume e la tipologia degli audit interni, in risposta alle variate e molteplici necessità di controllo. Nella maggior parte delle organizzazioni i team di audit si trovano sempre più ad affrontare queste molteplici richieste con budget ridotti e quindi con numero minore di ore da poter impiegare per la realizzazione degli incarichi di audit.

È in questo contesto di rinnovata ed aumentata necessità di efficienza operativa che molte Funzioni di Internal Audit si stanno rapidamente rendendo conto che le soluzioni operative basate sull’informatica individuale non sono più adatte a supportare l’operatività della Funzione, che richiede invece una trasformazione digitale dei processi di audit.

Si tratta senza dubbio di una scelta strategica che passa anche – e soprattutto – attraverso la valutazione di adottare soluzioni applicative dedicate, offerte oramai sul mercato quasi tutte in modalità cloud e quindi con la possibilità di un accesso distribuito e della condivisione in tempo reale delle informazioni con il team di lavoro.

Ma quali sono i principali elementi da considerare nella transizione e quali i benefici derivanti da una scelta di cambio di strumenti che faccia transitare dalla classica modalità operativa one to one, ad una modalità operativa integrata e condivisa?

Partiamo dai benefici, ma con una necessaria puntualizzazione espositiva: quello che viene qui riportato è il punto di vista di un consulente di Internal Audit, che opera in un’azienda che ha fatto da tempo della scelta metodologica e di strumenti di supporto un proprio elemento distintivo. Ma senza alcun dubbio la spinta alla realizzazione delle verifiche da remoto dettata dall’impatto pandemico sul mondo del lavoro – e ci si riferisce, senza remore di smentita, all’impatto dello smart working anche sulle attività di Internal Auditing – ha ulteriormente incrementato l’utilizzo di strumenti di comunicazione e condivisone, andando appunto verso questa direzione di trasformazione digitale. Ed ecco quindi che la competenza e la conoscenza del consulente che utilizza lo strumento per portare a termine nella maniera più efficace gli incarichi affidati da una pluralità di differenti clienti con approcci e metodologie diverse, divengono di supporto a chi si pone di fronte alla scelta di un cambio di approccio operativo all’intero processo di auditing.

Fatta questa dovuta precisazione, è indubbio che la gestione integrata del processo di audit attraverso uno strumento dedicato consenta di beneficiare di una qualità metodologica dettata da unitarietà di metodo operativo da parte degli auditor, accesso immediato e distribuito alle informazioni, ordinata e archiviazione di dati ed informazioni, con relativa accessibilità e sistematicità di condivisione e revisione attraverso workflow e processi approvativi strutturati ed efficaci, nonché automazione nella creazione della reportistica e disponibilità di flussi informativi e dashboard mirati alle differenti necessità informative dei vari stakeholders.

Ovviamente le soluzioni di digitalizzazione presenti sul mercato presentano differenti livelli di sofisticazione che rendono più o meno rilevante un beneficio a scapito di un altro. Ma la transizione digitale, indipendentemente dalla tipologia di strumento che si andrà a preferire, non può non tenere in considerazione alcuni elementi imprescindibili di tale processo.

La scelta di dotarsi di una soluzione applicativa dedicata per la gestione delle attività della Funzione di Internal Audit ha infatti come primo immediato impatto l’ottimizzazione del processo di Internal Auditing in tutte le sue fasi: eseguire un intervento di audit, infatti, è solo una minima parte dell’attività che deve essere programmata, coordinata e poi elaborata successivamente per riportarne esiti, valutazioni e riscontri.

È pertanto fondamentale che la tecnologia venga integrata nella realtà operativa della Funzione di cui diviene un supporto, e non uno strumento a latere calato dall’alto: la digitalizzazione deve migliorare l’efficienza operativa, senza stravolgere metodologie e approcci già condivisi e di cui è stata appurata la validità nel tempo. Piuttosto può essere lo strumento per porsi delle domande in ottica di miglioramento ed affinamento metodologico: è necessario che vengano presi in considerazione – proprio come viene fatto durante una vera e propria analisi funzionale – gli impatti di introduzione di un nuovo software in termini di cosa dovrà cambiare operativamente nel quotidiano dell’auditor e di come lo strumento possa essere efficacemente integrato, senza andare magari a stravolgere metodologie consolidate e riconosciute; il passo successivo sarà inevitabilmente chiedersi come intervenire laddove da tale analisi emergano delle necessità di adeguamento e modifica e quindi passare dal “nice to have” all’effettiva valorizzazione di funzionalità disponibili e necessità operative.

In tutto questo la chiave di volta risiede ovviamente nella possibilità di poter personalizzare il più possibile lo strumento scelto, affinché lo stesso non divenga nel tempo un mero repository documentale – peraltro costoso – e la digitalizzazione a quel punto rimanga solo una bella icona in più sui PC di ciascun auditor. Con buona pace di una scelta di tipo strategico.

Per concludere con metafora sportiva, bisogna considerare il percorso verso una corretta digitalizzazione della Funzione di Internal Audit più simile ad una maratona che ad una corsa di velocità: necessita la giusta preparazione e il supporto di un coach preparato e competente potrebbe essere l’arma vincente per raggiungere i migliori obiettivi in termini di tempi e prestazioni.

Stefania Balliana

Una Psicologa del lavoro in operàri

operàri si occupa di Internal Audit, consulenza legale e consulenza in materia di corporate governance: a prima vista niente di più lontano dalla Psicologia del lavoro.

Eppure eccomi: Psicologa del lavoro in operàri. Perché anche se sono consulente esterna, mi sento un po’ parte di quel #NOI che con #cura ed entusiasmo si è costruito.

 

Sì, perché il #NOI – quello con tutte e tre le lettere maiuscole – non arriva all’improvviso, non emerge naturalmente. È molto raro che succeda e chi si occupa di gruppi lo sa. Sul #NOI è necessario lavorare, attraverso il #prendersi cura, ma anche attraverso #l’impegno e la #passione, la voglia di costruire una visione comune, in cui tutte e tutti possano riconoscersi.

 

Il mio ruolo è allora quello di supportare questo NOI, attraverso iniziative e azioni che possano consolidare il gruppo e renderlo più coeso.

In questo, per assurdo, i mesi di lockdown, videochiamate e lavoro da casa sono stati i più fertili. Abbiamo infatti organizzato un percorso di incontro, ascolto e supporto, uno spazio settimanale in cui riunirci per poterci confrontare su quello che stava accadendo, su ciò che si stava vivendo, percependo, sentendo. Abbiamo anche dato vita a un evento di #teambuilding online che, sfruttando un gioco che fa delle domande la sua unica regola, ha permesso di conoscersi oltre il ruolo professionale, andando a consolidare i legami personali. Perché operàri ha capito che per lavorare bene insieme ed essere efficaci per i propri clienti, è necessario passare attraverso la conoscenza gli uni degli altri come persone, ancora prima che come colleghi.

Per lo stesso motivo, da un anno abbiamo dato vita a un processo di valutazione delle competenze trasversali, con l’obiettivo di mappare quelle esistenti e capire come implementarle e potenziarle per migliorarsi. Sempre.

Il lavoro in consulenza è un lavoro a contatto con le persone ed è per questo che è fondamentale il “come” si lavora, oltre che il “cosa” si sa e il quanto bene si conoscono le normative. Sono proprio le soft skills a rispondere al “come”, a declinare il proprio lavoro per renderlo unico. È il “come” che fa la differenza. E questo, in operàri si sa bene. Ecco perché lavoriamo sulla flessibilità, sulla gestione del tempo e del cambiamento, su quella dello stress, sulla comunicazione, sulle competenze relazionali e sull’autoefficacia.

I colloqui individuali di valutazione sono sempre un momento molto intenso perché la sensibilità che le persone dimostrano e la voglia che hanno di migliorarsi non sono scontate. Anzi, spesso è proprio difficile trovarle. Diventano allora colloqui in cui imparo anch’io. In cui mi metto in discussione anch’io. Aspetti che, a una consulente e Psicologa del Lavoro quale sono, danno ossigeno e grande soddisfazione.

Il cammino è ancora lungo: abbiamo traguardi da raggiungere e competenze da potenziare, ma il solo fatto di avere un cammino tracciato, restituisce #l’impegno e l’integrità che le persone che lavorano in operàri mettono in ciò che fanno. Ed è per questo che sono felice di far parte della squadra.

Bianca Cavallini